L'altra specie by Roberto Cingolani;

L'altra specie by Roberto Cingolani;

autore:Roberto , Cingolani; [Cingolani, Roberto ]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: La cultura scientifica, Intersezioni
ISBN: 9788815353436
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2019-08-15T00:00:00+00:00


IV.

Fino a che punto si può imitare la natura?

■ Guardo l’ecosistema di robot su cui si lavora qui all’IIT e mi rendo conto di quanto incredibile sia la natura, di quanto siano eccezionali alcuni risultati dell’evoluzione che noi diamo per scontati fino a quando poi non li perdiamo per qualche ragione: i meccanismi di visione, la capacità di camminare, quella di compiere movimenti di estrema precisione. Replicare ognuno di questi meccanismi sulle macchine è un lavoro lungo e faticoso, ed è ancora lontana la perfezione che la natura ha ottenuto in tre miliardi di anni. Allora mi chiedo fino a che punto sia possibile copiare la natura: quando ha senso lanciarsi in questa impresa e quando invece bisogna esplorare altre vie e trovare altri percorsi?

Come abbiamo detto, la spinta iniziale è stata imitare la natura nella sua capacità di adoperare pochi atomi e con questi arrivare a migliaia di risultati differenti attraverso architetture e legami diversi. Ovviamente non si tratterà mai di una copia perfetta dell’originale, tuttavia tentare di emulare la natura ha un senso in determinate situazioni fisiche. Per esempio, come già detto in precedenza, quando si tratta di macchine sotto i 1.000 watt di potenza o che si muovono entro valori di forze e velocità tipiche degli esseri viventi. In questo ambito di parametri fisici copiare la natura è la cosa migliore. D’altro canto se il robot deve stare nella mia stessa stanza non può essere una macchina che ronza e che vola, che scalda l’ambiente a 600 gradi e consuma decine di kilowatt. Non può essere una ruspa collegata a un supercomputer, ma dovrà giocoforza accontentarsi di qualche centinaio di watt... come una TV, una lavatrice, una lucidatrice, una lavastoviglie.

Pensiamo però a un aereo – una macchina che vola con dentro 200 persone –, a una portaerei o a una centrale nucleare. Non esistono in natura e quindi non hanno una controparte imitabile (e non vale paragonare le centrali nucleari alle stelle, perché le stelle ancora noi non le sappiamo copiare). Dunque, queste non saranno mai tecnologie bioispirate.

Quando abbiamo avuto l’idea di copiare la natura le domande a cui cercavamo di rispondere erano: riesco con meno di 1.000 watt, che più o meno è quanto consuma un uomo, a:

– costruire un oggetto che somigli a un uomo;

– usarlo per capire meglio come funziona l’essere umano;

– impiegarlo in situazioni pericolose per un uomo;

– prenderne le parti che mi servono e utilizzarle per sostituire parti mancanti o «rotte» in un vero essere umano?

Il nostro approccio alla robotica è stato quindi cominciare a identificare le parti da studiare e copiare: la meccanica, la dinamica, i sistemi sensoriali e visivi, l’alimentazione elettrica, l’intelligenza. Individuate tutte le parti, abbiamo cercato soluzioni per fare in modo che questi sistemi, integrati armoniosamente, replicassero il modo di operare di un essere umano, di muovere le dita, di vedere.

Non utilizzando i sei atomi, il funzionamento di questi robot è molto diverso dal nostro. Come ho detto prima, noi siamo sviluppati per essere fatti di un 70% di idrogeno e ossigeno, cioè di acqua.



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